Minimalismo: moda passeggera o stile di vita?
di Sabrina Montone
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ToggleData di pubblicazione: 9 Aprile 2024
Alzi la mano chi ha sentito almeno una volta qualcuno definirsi un minimalista negli ultimi anni.
Non posso vederti, ma sono sicura che anche tu hai la manina alzata.
Sembra divenuta una moda dilagante, infatti fa molto chic dire “da quando sono divento minimalista la mia vita è cambiata totalmente!”.
Ma almeno, qualcuno sa cosa sia veramente il “minimalismo”.
Già, perché io ho sentito dire tutto e il contrario di tutto.
C’è chi afferma:
- minimalismo = libertà
- minimalismo = ordine mentale
- minimalismo = frugalità
- minimalismo = privazione
insomma, quale sarà la verità? Anche perché, ad esempio, non mi sembra possa essere possibile vivere in modo libero attraverso una sistematica privazione. Non credi?
Cerchiamo allora di chiarirci un po’ le idee, perché mi sa che, a furia di spacciare opinioni personali per verità insindacabili, si sia creata decisamente confusione.
Cos’è il minimalismo e a quali principi si ispira
Cominciamo con il dire che il temine “minimalismo” è stato preso in prestito dal campo artistico.
Questo, infatti, fu coniato per la prima volta nel 1965 dal filosofo dell’arte Richard Wollheim, che utilizzò la definizione “riduzione minimale” all’interno di un suo articolo, per indicare come il contenuto artistico del periodo fosse caratterizzato da una riduzione della realtà ad elementi essenziali, al limite dell’impersonale.
Gradualmente, ogni campo artistico, dalle arti plastiche all’architettura, passando per la musica e la letteratura, iniziarono a fare largo uso di questi principi.
Solo a partire dal nuovo millennio, questa concezione è stata estesa anche alla sfera personale. Saranno, però, Ryan Nicodemus e Fields Millburn, svariati anni dopo, grazie al loro blog “The Minimalists”, a diventare un punto di riferimento e fonte d’ispirazione per milioni di persone in tutto il mondo.
Ma chi sono Nicodemus e Milburn?
Semplicemente due amici d’infanzia che, nonostante abbiano avuto un’infanzia difficile, sono comunque riusciti a costruirsi una vita di successo. Una volta raggiunta la vetta, però, si sono accorti di non essere felici quanto speravano e hanno compreso che in realtà le cose importanti fossero decisamente altre.
Hanno così deciso di elaborare un vero e proprio metodo per adottare uno stile di vita più sostenibile e lo hanno condensato in alcune regole consultabili gratuitamente sul proprio sito internet.
Ti anticipo che, anche se lo stile di vita minimalista non è una “invenzione” italiana, più avanti mi riferirò al nostro contesto di appartenenza, poiché è il tipo di realtà con cui siamo costretti a confrontarci ogni giorno. Visto, però, che “ogni mondo è paese”, con i dovuti accorgimenti del caso, ciò che dirò in seguito sarà valido per ogni contesto geografico.
Molti hanno provato a far passare il messaggio che questo stile di vita si traduce nel decidere di non possedere nulla e di vivere, di conseguenza, in uno spazio vuoto, sterile. Quindi si è teso a far passare il messaggio secondo cui i minimalisti conducessero una vista austera, quasi ascetica.
In realtà, esattamente come era accaduto nel campo artistico già nei decenni precedenti, questo stile di vita prede ispirazione dalla filosofia zen. Questo infatti mira a trovare il giusto equilibrio ed armonia fra l’individuo e l’ambiente circostante.
In altre parole, vivere uno stile di vita minimalista significa concentrarsi su ciò che essenziale, liberandosi in questo modo dagli eccessi che la vita moderna esalta quotidianamente, ma, che in realtà, spesso costano troppo tempo e denaro per essere portati avanti.
Perché il minimalismo è tornato di moda dopo quarant'anni?
Non so tu, ma io mi sono fatta esattamente questa domanda.
Anche se sono convinta che la vita sia piena di corsi e ricorsi storici, proprio come affermava il buon Giambattista Vico, com’è possibile che un movimento culturale risalente ormai a sessant’anni fa sia tornato ad essere praticamente sulla bocca di tutti, tanto da essere tirato spesso in ballo anche senza cognizione di causa?
E siccome sono una persona curiosa, che non sa arrendersi fino a quando non riesce a trovare una risposta esauriente alle proprie domande, ho cominciato a spulciare qua e là in cerca di soddisfazione.
In effetti, un’idea me la sono fatta e vorrei condividerla con te.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la situazione economica e sociale del Paese era disastrosa. Anni di privazioni dei propri diritti fondamentali, di fame e stenti di ogni genere. La gran parte della popolazione è stata costretta letteralmente a risorgere dalle proprie macerie.
Negli anni ’50 finalmente si è iniziata ad intravedere la luce in fondo al tunnel. Le imprese avevano ripreso la produzione a pieno ritmo e quindi necessitavano di un consistente quantità di mano d’opera. Il calo del tasso di disoccupazione, unitamente alla propulsone economica e produttiva, ha generato quello che poi verrà definito il “miracolo italiano”, noto ai più come boom economico.
In questo clima di esaltazione generale, chiunque voleva mostrare al mondo il proprio ritrovato benessere e, di conseguenza, divenne essenziale chiarire quale fosse il proprio status sociale.
Automobili di lusso, case, elettrodomestici di ultima generazione, viaggi in posti esclusivi, sembrava essere diventato la nuova normalità.
Guai, ad esempio, ad essere un imprenditore che si presentava a lavoro in una semplice monovolume, anziché in una berlina scura, magari con autista. Subito sarebbero iniziate a correre voci secondo cui quell’imprenditore fosse in difficoltà economiche, ma che non volesse farlo sapere a nessuno e che questo fosse l’unico vero motivo per cui si dichiarasse non interessato a possedere un’auto di lusso.
Pensaci, in realtà ciò accade ancora oggi. Esistono tantissime persone che pur di far vedere a tutti i propri amici e conoscenti quanto sia invidiabile la propria vita, si indebitano per anni e anni per comprare, ad esempio, un’auto di ultima generazione spendendo, tra l’altro, cifre blu in interessi solo per poter sfoggiare il “macchinone”.
Sbirciando un po’ sui profili social, infatti, sembrano tutti usciti da riviste di alta moda o di finanza. La triste e cruda realtà è che, alla fine, la maggior parte di queste persone stenta ad arrivare a fine mese, esattamente come la maggior parte della popolazione, poiché è ricoperto di rate di finanziarie, mutui e spese da pagare. Diventa un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Lavori perché devi pagare le spese necessarie a mostrare ali altri il tuo status, ma questo ti costringe a vivere segretamente da miserabile e a tenerti inchiodato ad una vita che arrivi ad odiare.
Pensi che sia bello vivere in questo modo?
Personalmente credo sia un vero incubo, di quelli che ti toglie il sonno di dosso.
Ecco, dunque, che si trova un escamotage facile e di effetto.
Dichiarandosi minimalisti si comunica al mondo che si è abbracciato uno stile di vita che semplicemente non crede in questo modo di gestire le cose. Così ci si fa scudo dietro i suoi principi per motivi molto più utilitaristici di quanto non si possa pensare e, contemporaneamente, non si “perde la faccia” davanti ad amici e parenti.
Comunque, qualunque sia il motivo che spinge le persone ad abbracciare lo stile di vita minimalista, sembra che effettivamente riescano a riscontrare enormi benefici da questa pratica e, dunque, a me tanto basta.
I benefici dello stile di vita minimalista
Adesso cerchiamo di capire quali sono i benefici che promette di riservarci lo stile di vista minimalista.
In sintesi, attraverso una serie di abitudini improntate sulla graduale eliminazione di tutto ciò che non è strettamente necessario, dovremmo arrivare a:
- ridurre lo stress;
- possedere una maggiore chiarezza e serenità mentale;
- riappropriarci del nostro tempo;
- rimanere focalizzati solo sulle cose importanti;
- riconnetterci alle nostre emozioni;
- imparare a riconoscere quello che ci rende davvero felice;
- eliminare il caos mentale attraverso la pratica del riordino funzionale;
- cercare risposta ai propri dubbi esistenziali;
- migliorare la propria condizione finanziaria.
Se mi dovessi soffermare solo su questo elenco, giuro che mi ci sarei buttata a capofitto sin dal primo momento. Sembra davvero tutto troppo bello per essere vero, la svolta definitiva ad ogni male della società moderna.
Proviamo allora ad analizzare meglio questi punti prima di dare qualsiasi tipo di giudizio in merito.
Eliminando tutti gli oggetti che non ci rappresentano più o di cui, magari, non abbiamo mai avuto veramente bisogno, gli ambienti da noi vissuti risulterebbero sicuramente più fruibili e riordinarli impiegherebbe innegabilmente meno tempo.
Io stessa mi dedico periodicamente al decluttering e questo mi porta effettivamente a raggiungere una rinnovata serenità mentale, riducendo sensibilmente la soglia di stress legato al disordine visivo.
Come conseguenza, mi sento una persona più organizzata e questo migliora il tono del mio umore e mi incita a ricercare lo stesso tipo di soddisfazione anche in altri ambiti della mia vita, come quello professionale.
Chiedermi in continuazione se quel determinato oggetto meriti o meno di rimanere ancora nella mia vita, mi fa interrogare costantemente sui miei bisogni e, quindi, mi spinge a conoscermi meglio.
Vien da sé che, il caos che regna sovrano nella mia mente, a mano a mano che acquisto fiducia nelle mie capacità di organizzazione e gestione dello spazio, lasci il posto ad una rinnovata chiarezza d’intenti e, successivamente, ad una volontà di raggiungere i miei obiettivi personali.
Infine, ma non per questo meno importante, soprattutto visto il periodo, non provando più alcun tipo di attrazione verso ciò che non reputo essenziale, spenderò sicuramente meno soldi e, di conseguenza, riuscirò a risparmiare denaro in attesa di trovargli una destinazione migliore.
Conosco tantissime persone che si sono avvicinate al minimalismo solo ed esclusivamente per imparare a risparmiare e, ammetto, che le loro condizioni di vita sono effettivamente migliorate.
Dunque, anche analizzando meglio la situazione, non mi sembra di trovare grossi svantaggi in questo tipo di comportamento.
E allora, perché non riesco comunque a definirmi “minimalista”?
Ecco perché non ho abbracciato lo stile di vita minimalista
Non l’ho fatto per una serie di motivi.
Il primo deriva sicuramente dalla mia avversione personale ad abbracciare acriticamente opinioni e modi di essere altrui.
Riconosco la genuinità di buona parte delle convinzioni minimaliste, ma sono convinta che ogni azione abbia effetti leggermente diversi su ciascuno e, di conseguenza, ogni caso sia un caso a sé.
Per esempio, i sostenitori di questo stile di vita sono fermamente convinti che i ricordi siano legati alle persone e non agli oggetti.
Io invece non sono in accordo con questa affermazione. Non sono un’animista, intendiamoci, ma ci sono alcuni oggetti, come ad esempio dei libri, da cui non riuscirei mai a separarmi, perché hanno un impatto emotivo molto forte su di me.
Ho conservato, per esempio alcuni indumenti di mia figlia che indossava quando era neonata e, anche se occupano spazio, non mi sognerei mai di darli via. Il solo pensiero mi mette in ansia e non credo che questo possa ridurre il mio livello di stress.
Non ho dato via più della metà del mio armadio e neanche ci penso a farlo.
Sicuramente è bello sbirciare quelle cabine armadio tutte ordinale, che sembrano appena uscite fuori da un catalogo di design, eppure, se mi stanno ancora bene e non sono rovinati dal tempo o dall’usura, non vedo proprio l’utilità di separarmi dai miei vestiti o dalle mie scarpe. Certo, da quando ho iniziato a prendere confidenza con i dettami minimalisti, ho sicuramente smesso di comprare vagonate di abiti, ma reputo più sensato continuare ad utilizzare quelli che ho.
Non voglio privarmi a priori dell’idea di rendere la mia vita il più confortevole possibile. Se dovessi rendermi conto che esiste qualche prodotto o servizio che possa facilitarmi effettivamente l’esistenza facendomi risparmiare tempo o da cui possa trarne un effettivo beneficio, non voglio rinunciarvi solo per principio.
Credo anche che, alla lunga, portare avanti uno stile di vita così rigoroso, possa facilmente farti incorrere nell’eccesso opposto. Infatti, la scarica di endorfine ricevuta ogni volta che si riesce a resistere all’impulso di acquistare è molto simile a quella che si prova quando si fa un acquisto compulsivo per soddisfare un bisogno immediato.
Infine, abbracciare uno stile di vita, piuttosto che un altro ha ripercussioni sulle dinamiche di coppia e relazionali. Quindi, a meno che non si condividano esattamente gli stessi principi, non reputo giusto “forzare” gli altri componenti della famiglia a seguire la propria visione.
Essere minimalisti, infatti, non è come essere vegani, ad esempio. Il vegano può portare avanti le proprie convinzioni senza impattare in alcun modo sulla vita di chi gli è vicino. Male che vada, si cucinerà per suo conto.
Immagina invece di costringere alla convivenza, anche solo momentanea, tra un minimalista e un’altra persona più dedita al consumismo. Come andrebbe a finire, secondo te?
In conclusione
Che tu sia un minimalista o un aspirante tale, che tu sia invece un detrattore, ti consiglio di ascoltare ogni punto di vista senza pregiudizio.
Magari potresti confermare le tue convinzioni iniziali, ma potresti anche scoprire informazioni ed espedienti utili a renderti una persona più allineata ai tuoi valori.
D’altronde, nella vita non si può mai sapere quando ti troverai di fronte ad un’occasione e, quindi, non c’è motivo di precludersele.
Io ho trovato in questa filosofia di vita interessanti spunti di riflessione e tanto basta per rendermi almeno una simpatizzante.